Ho i “numeri” per essere uno startupper?
Questa è la domanda che tutti dovrebbero porsi prima di buttarsi a capofitto nella creazione di una startup (ma molti non lo fanno).

Perché per fare lo startupper bisogna essere preparati: e con questo non si intende solo essere preparati dal punto di vista tecnico (cioè in grado di trasformare un’idea di business in un progetto concreto), ma preparati a tutte le conseguenze che porta la “vita” da startupper.

Consideriamo anche un altro aspetto importante: magari abbiamo avuto un’idea di business e abbiamo stilato un progetto per realizzarla, ma nel frattempo siamo anche tanto fortunati (considerati i tempi che corrono) da avere un lavoro dipendente.

Questo vuol dire che, salvo che non vogliamo fare subito il “grande salto” e lasciare il nostro posto di lavoro per dedicarci completamente allo sviluppo della nostra startup, potremmo dedicare solo parte del nostro tempo al nostro progetto di business (riuscendo nel contempo a continuare a lavorare e vivere la nostra vita al di fuori del lavoro).
Tutto ciò nella speranza, che un giorno possa vivere solo con i frutti della tua startup.

Si tratta, però nel frattempo, di contemperare diverse esigenze e di farlo al meglio, altrimenti qualche aspetto della nostra vita ne risentirà (in peggio): e le parole chiave sono determinazione e organizzazione.

Ma vediamo di conoscere più a fondo le problematiche (ma anche gli aspetti positivi) che deve affrontare ogni giorno uno startupper: e dopo che li avremmo esaminati, potremmo farci di nuovo la domanda che abbiamo posto all’inizio e vedere quale sarà la nostra risposta.

Lo startupper: chi è?

Prima di tutto chiariamo cosa intendiamo precisamente quando parliamo di startupper.
Con questo termine si intende un soggetto che si trova nella fase di avvio di un’impresa e ha il controllo completo sul progetto di startup.

Questo vuol dire che lo startupper è solo al comando della sua nave: ha avuto l’idea di business, ha progettato il modo di svilupparla nel concreto e sta lavorando in modo che l’idea si trasformi in startup (possibilmente di successo e foriera di guadagni).

Lo startupper si dedica allo sviluppo della sua società nel periodo forse più delicato: la fase di avvio comprende tutta una serie di passaggi (come quello di organizzare la struttura della startup, reperire i fondi necessari, trovare il team adatto e lanciare la startup sul mercato) che sono complessi e delicati, e da cui dipende il successo dell’impresa.

Non si tratta di un ruolo facile da ricoprire: ci vuole voglia di fare e organizzazione, in modo da non disperdere le energie e da raggiungere il risultato desiderato. Un’impresa non facile, ma nemmeno impossibile.

Essere uno startupper: che fatica (e che noia)

Abbiamo detto che fare lo startupper vuol dire lavorare (e sodo): ma in fondo, se il lavoro ci piace, può diventare anche un piacere.

Soprattutto se siamo impegnati nella creazione della nostra startup, di qualcosa di completamente nostro che andiamo a costruire partendo da zero. La soddisfazione personale e l’entusiasmo possono aiutarci anche a non sentire la fatica.

Ma non tutti gli aspetti dell’attività di uno startupper sono “creativi” o ricchi di soddisfazioni: come in ogni lavoro, esistono tutta una serie di attività che possiamo tranquillamente definire “noiose”.

Basta pensare a tutta la burocrazia (che negli ultimi anni è anche diminuita, ma non abbastanza) che dobbiamo affrontare durante la fase di creazione e gestione di una startup.

Inoltre vi sono degli adempimenti (pensiamo a quelli fiscali, per esempio) che vanno ripetuti con cadenza anche quotidiana e che possono risultare veramente noiosi: ma sono importanti per la gestione corretta della startup e quindi vanno eseguiti con la massima attenzione, ogni volta.

Sviluppare (e gestire) una startup non è solo un’avventura sempre nuova e stimolante: ci sono anche i momenti di noia e dobbiamo essere preparati ad affrontarli.

Essere uno startupper (anche part-time): qualche vantaggio c’è

Ma allora fare lo startupper vuol dire solo fatica e lavoro?
Se fosse solo questo, nessuno lo vorrebbe fare. Esistono anche degli aspetti positivi nell’attività di startupper e riguardano soprattutto il campo personale.

In primo luogo, la possibilità di portare al successo la propria idea e di crescere professionalmente, ci può soddisfare non solo in senso economico (che ovviamente è un aspetto molto importante) ma anche dal punto di vista privato.

Si tratta di una soddisfazione che è molto difficile (diciamo anche quasi impossibile) trovare oggi nello svolgimento di un lavoro da dipendente e che è molto importante per spingere lo startupper a perseverare nel suo progetto di business.

Ma dal punto di vista personale c’è anche un altro innegabile vantaggio nel fare lo startupper: soprattutto se siamo degli startupper part-time (cioè manteniamo nello stesso tempo il nostro posto di lavoro da dipendente), potremmo apprezzare la possibilità di organizzare il lavoro e gestire il tempo a nostra disposizione nel modo migliore e che più ci è consono.

Molto spesso non possiamo fare questa operazione quando dobbiamo sottostare alle direttive e all’organizzazione di qualcun altro: e anche se pensiamo che potremmo organizzarci meglio (risparmiando tempo e facendo un lavoro migliore), dobbiamo comunque “obbedire” agli ordini del capo.

Ma se il nostro capo siamo noi stessi, abbiamo la possibilità di mettere alla prova le nostre abilità organizzative: e se riusciamo in questo compito, potremmo ottenere il maggior risultato (in termini di attività svolta) nel tempo minore, riuscendo in questo modo a gestire al meglio il nostro tempo e dedicarci anche alla nostra vita privata.

Essere uno startupper vuol dire anche questo: libertà di gestire il tempo (sempre a patto di saperti organizzare).

E se come startupper non ho successo?

Il successo è quello a cui ogni startupper dovrebbe puntare già dal momento in cui inizia a concretizzare la sua idea di business: in fondo non si lavora solo per la gloria e la soddisfazione personale, ma anche per poter avere un guadagno concreto.

Nel momento in cui la nostra startup inizia a ingranare, potremmo anche decidere di fare il grande salto: abbandonare un lavoro dipendente che ormai ci va “stretto” e dedicarci completamente allo sviluppo e alla crescita della nostra società, massimizzando gli sforzi (e di conseguenza anche i guadagni).

Avere successo con una startup non è facile (nemmeno se si lavora duro e ci si impegna a fondo, non trascurando nessuno degli aspetti determinanti dello sviluppo di un progetto), ma nel momento in cui lo si raggiunge, c’è la concreta possibilità di “monetizzare” il lavoro e l’impegno che abbiamo messo nella nostra startup.

La nostra “creatura” è cresciuta e ci ha dato le soddisfazioni che aspettavamo: questo vuol dire che saremo cresciuti professionalmente e personalmente (creare una startup porta con sé anche questi aspetti molto importanti), avremmo acquisito un bagaglio di esperienze importanti (che potremmo spendere nella nostra attività lavorativa), avremmo creato un network di conoscenze che potranno sempre risultarci utili e soprattutto, saremo pronti per una nuova avventura nel mondo delle startup (e questa volta senza commettere gli errori ingenui che possono accadere alla prima esperienza da startupper).

Questa volta potremmo partire come degli startupper completi (non più part-time): degli imprenditori con le esperienze e le conoscenze giuste per trasformare una buona idea in un business di successo.

Fallire? Può succedere (e non bisogna farne un dramma)

Una startup è in un certo senso una scommessa: prima di tutto su noi stessi, se cioè abbiamo la stoffa per essere degli startupper, poi sulla bontà delle nostre idee e le capacità di realizzarle, infine sul possibile successo che tali idee possono avere sul mercato. Si tratta di diversi fattori e su alcuni di essi (in particolare quello che riguarda il mercato) non possiamo avere il pieno controllo.

Una scommessa ad alto rischio, verrebbe da dire: e come tutte le scommesse il rischio di “perdere” esiste. Una startup può “arenarsi” in ogni fase della sua vita: sia nel momento in cui viene progettata e creata (forse il più delicato e a rischio), sia nella prima entrata sul mercato che nella successiva fase di espansione.

Diventa perciò determinante tenere sempre presente il rischio del fallimento, quando ci si impegna in un progetto di startup: ma bisogna anche ricondurre questo “fallimento” entro i suoi giusti limiti.

Il fallimento per uno startupper non è la fine di tutto: si può perdere una battaglia, ma l’importante è vincere la guerra.

Dal fallimento di un progetto di startup si devono trarre tutti gli insegnamenti necessari a evitare di ripetere, nei progetti seguenti, gli errori che hanno portato il progetto stesso ad arenarsi.

È importante per uno startupper considerare un fallimento come una tappa di un percorso di formazione: quello che è successo una volta (di negativo) serve a migliorare le tappe successive.

Si tratta di cambiare prospettiva: da un “male” possono derivare delle conseguenze comunque utili (se si fa tesoro dell’esperienza).

Abbiamo visto cosa vuol dire fare lo startupper: si tratta di un impegno non indifferente, ma d’altro canto offre la possibilità di non dover più dipendere da un posto di lavoro dipendente che non riesce a soddisfare le nostre aspettative (professionali ed economiche) e che non ci consente di essere padroni del nostro tempo e della nostra vita.

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