Ascoltando i notiziari e leggendo i giornali dati e statistiche si inseguono in maniera quasi frenetica, soprattutto per quel che riguarda lo stato delle imprese (startup comprese) in Italia:

1- qual è la reale situazione delle startup nel panorama economico attuale del nostro paese?

2- quante sono effettivamente le imprese innovative operanti in Italia e in quali settori si concentrano?

3- quali sono le loro caratteristiche e speranze di vita (e di successo)?

Tutte domande molto importanti per avere un quadro chiaro della situazione delle startup in Italia, ma a cui non è facile dare una risposta univoca: quello che è possibile fare è esaminare i dati forniti dagli organismi preposti alle indagini su questo argomento e trarne alcune conclusioni.

Vediamo insieme di capire allora lo “stato di salute” delle startup italiane.

Le startup in Italia: una realtà in crescita

Osservando i dati statistici presentati da Unioncamere del secondo trimestre 2015 (cioè i più recenti) il quadro che emerge è positivo: in particolare si è registrato un bilancio positivo di quello che è l’indicatore più immediato della vitalità imprenditoriale, cioè la differenza fra le nuove iscrizioni nel registro delle imprese e le cessazioni di imprese.

Si tratta di un dato statistico molto importante: infatti, se anche fossero presenti un alto numero di iscrizioni, ma altrettante fossero le cessazioni (per fallimento o a causa di chiusura delle attività), il bilancio non potrebbe essere positivo, perché a un alto livello di natalità corrisponderebbe comunque un alto livello di mortalità delle imprese.

Questo vorrebbe dire che nuove startup verrebbero create, ma non avrebbero una vita lunga e un adeguato successo, andando incontro a una fine molto rapida (e ingloriosa) della loro attività di impresa.

Una situazione che non rappresenta un momento di crescita, ma solo una situazione di stasi: quando invece il rapporto fra aperture e chiusure delle startup è a favore delle prime, l’indice di crescita è positivo e sta a significare una crescita dell’economia.

Questi segnali non sono ancora eclatanti (nel secondo trimestre 2015 l’indice di crescita è pari allo 0,63%) ma dimostrano che le startup in Italia stanno lentamente crescendo e consolidando la loro posizione nell’ambito del mercato: non si tratta di semplici “meteore” destinate ad aprire e chiudere l’attività in un brevissimo spazio di tempo (e quindi a non generare reddito e ricchezza), bensì delle realtà che crescono e si sviluppano

Vediamo, esaminando i dati statistici, di tracciare un “identikit” delle startup italiane nel periodo attuale, cercando di capire quante sono e quali sono i settori di attività in cui sono presenti.

Le startup: l’identikit della nuova impresa

Le startup in Italia, sempre basandosi sui dati di Unioncamere sono state a fine 2014 370.979: un numero certamente di tutto rispetto, considerando il periodo di profonda crisi economica da cui l’economia sta cercando di uscire.

Considerato che aprire una startup vuol dire “fare una scommessa”, mettere alla prova le proprie capacità professionali e imprenditoriali cercando di guadagnarsi un posto nel mercato, numeri così elevati dimostrano che in Italia c’è ancora voglia di “fare impresa” e di costruirsi un futuro solido attraverso il lavoro.

Ma in quali settori operano le startup?

Oltre al settore dell’attività di alloggio e ristorazione (da sempre un motore trainante della nostra economia), le startup concentrano le proprie attività nel settore dei servizi alle imprese e del commercio.

In forte discesa, dopo avere conosciuto una buona crescita negli anni precedenti, è invece il settore dell’agricoltura (dove una ragione di questo rallentamento è dato da un fattore fisico, cioè il progressivo esaurimento dei terreni coltivabili).

Un dato molto interessante è quello che riguarda l’età media dei fondatori di startup: infatti bel il 64,7% dei soggetti che fondano una nuova impresa hanno un’età compresa fra i 30 e i 49 anni.

Si tratta di un dato importante nello stila un identikit delle startup perché dimostra che non sono i giovani alle prime armi a iniziare una nuova impresa, bensì la maggioranza degli startupper è gi

à introdotta sul mercato del lavoro.

Questo vuol dire che ha già un bagaglio di esperienze importanti, che possono essere molto utili nel momento in cui si affacciano sul mercato con la loro startup, potendo evitare errori in cui potrebbe incappare un soggetto alle prime armi nel mondo del lavoro.

Per quel che riguarda il livello di istruzione degli startupper, risulta molto elevato: infatti una percentuale dell’82,6% ha almeno una laurea di primo livello (o di secondo, oppure un master).

Un dato importante anche questo, perché dimostra che lo startupper italiano ha una solida base di studi (e lavoro) alle spalle, che gli permettono di affrontare il mercato utilizzando con cognizione di causa i vari strumenti a sua disposizione in campo finanziario, legislativo e fiscale.

Un valore aggiunto, che può però garantire sulla

lunga distanza il successo di una startup.

Riguardo invece alla tipologia di clienti delle startup, la prevalenza è al B2B (47,2%) e al B2B2C (34,8%), mentre residuale è il B2C (15,2%): probabilmente questo è legato al fatto che gli startupper operano già nel mondo del lavoro e che quindi scelgono per la loro impresa un ambito già conosciuto, in cui possono inserirsi con maggiore facilità e di cui conoscono al meglio le dinamiche e i “segreti”.

Per quel che riguarda le forme giuridiche scelte dalle startup, l’orientamento che si è consolidato negli ultimi anni è quello di scegliere la società di capitali rispetto alle società di persone e alle ditte individuali.

Alla base di questa scelte (una forma più complessa rispetto a quelle più semplici) possiamo individuare diverse ragioni:

  • in primo luogo sono stati previsti diversi incentivi per le società di capitali (soprattutto legati all’assunzione di personale) e diverse possibilità di accedere a strumenti di finanza agevolata, che hanno reso “appetibili” queste forme di società;
  • sono stati diminuiti i costi necessari alla creazione di questo tipo di società e semplificate le procedure (basta pensare alle S.R.L. semplificate);
  • i nuovi startupper sono consapevoli del fatto che una società di capitali può attirare investimenti esterni in modo più semplice ed efficace: una società di capitali è la forma giusta per una startup che voglia crescere ed espandersi (magari anche al di fuori dei confini nazionali).

Ma accanto ai dati che attestano una crescita del fenomeno startup in Italia, vi sono anche i dati negativi, cioè quelli che registrano gli insuccessi e i fallimenti di queste imprese. Vediamo di conoscerli meglio, soprattutto per imparare a evitarli.

Il fallimento della startup

Il fallimento è un’eventualità sempre presente nella “vita” di una startup: dobbiamo considerare che la creazione di una società basata su un’idea di business è e rimane una scommessa rischiosa.

Non è detto che il fallimento dipenda dalla cattiva volontà o dalla poca professionalità dello startupper, quando sono spesso anche le condizioni (in particolare quella del mercato in cui la startup si va a inserire) a determinare un insuccesso.

Secondo una ricerca svolta dell’Università Niccolò Cusano, la vita media di quasi un terzo delle startup non supera i 3 anni: ma in questo caso non è giusto parlare di una “sconfitta”, quanto di un’esperienza (negativa sotto certi aspetti) da cui lo startupper potrà trarre i dovuti insegnamenti per non ripetere gli errori precedenti.

In questo senso il fallimento va inteso come una seconda occasione: quello delle startup è un mondo dinamico e in continua evoluzione, e da la possibilità all’imprenditore di ricominciare la sua avventura imprenditoriale con forze nuove e nuovo entusiasmo.

Il quadro delle startup nell’economia italiana è interessante e sicuramente aperto a un ulteriore espansione: il mercato offre ancora molti spazi dove inserirsi, a patto di avere la giusta idea di business e di lavorare al meglio per realizzarla.

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    2 replies to "Le startup in Italia: a che punto siamo?"

    • […] i fondatori di startup non sono under 25 appena (o non ancora) laureati, ma sono molto più spesso soggetti compresi in una fascia di età fra i 30 e i 49 anni, che hanno già avuto esperienza in campo lavorativo e che molto spesso vanno a creare una startup […]

    • […] che il mondo delle startup è attualmente un mondo in cui la competizione è ai livelli massimi: il numero di startup che apre e chiude i battenti nel giro di un periodo di tempo molto breve (3-5 anni), senza […]

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