Quando si parla di startup è quasi impossibile evitare di ricadere nei luoghi comuni che ormai da anni caratterizzano l’immagine di questo particolare settore dell’economia: se volessimo seguire l’immagine dello startupper che esce da questo comune modo di pensare, finiremmo per trovarci al polo opposto rispetto alla realtà dei fatti.

Nell’immaginario collettivo lo startupper è un giovane (almeno under 40 se non under 30) genio dell’informatica, che ha avuto una singola idea fulminante, in grado di cambiare completamente un determinato settore di mercato, che ha sviluppato il suo progetto da solo, nel chiuso di un magazzino o di un garage (al massimo possono averlo aiutato dei giovani geni come lui), con un impiego minimo di mezzi e arrivando in breve tempo a un successo planetario: in una parola, fare lo startupper può sembrare davvero un lavoro “cool”.

# Il lavoro di startupper

Peccato che questi siano solo dei luoghi comuni, e che la realtà della creazione di una startup sia molto diversa: l’unico punto in comune, fra realtà e fantasia, c’è la presenza di un’idea di business da cui partire per sviluppare la propria startup, ma le similitudini finiscono qui.

Il lavoro di uno startupper è un impegno duro, non un divertimento per ragazzini appassionati di computer.

Lo startupper è un imprenditore a tutti gli effetti e il suo lavoro è di sviluppare e consolidare la sua impresa: questo vuol dire avere una visione di insieme del progetto di business, che deve svilupparsi almeno nel breve-medio periodo, essere in grado di seguire e controllare tutte le attività che sono comprese nello sviluppo del progetto, trattare con i soci e gli eventuali finanziatori e coordinare le operazioni del team che lavora al progetto stesso.

C’è davvero una belle differenza fra l’immagine del “nerd” che diventa milionario digitando sul suo personal computer e la durezza del lavoro di uno startupper: l’impegno richiesto a un imprenditore è realmente duro e continua giorno per giorno, non conoscendo festività o ferie.

Se vogliamo immaginare una giornata-tipo di uno startupper, quello che potremo notare è che una buona parte del suo tempo (se non quasi tutto) viene dedicata all’attività della startup.

Si parte dalla creazione del progetto e quindi dalla redazione di un business plan, dalla costruzione di un prototipo, dalla ricerca dei necessari finanziamenti e dalla scelta al coordinamento del team, fino ad arrivare alla quotidianità di un progetto già avviato: questo vuol dire sovraintendere a tutte le attività tipiche di una startup.

Perché, se è vero che non è possibile per uno startupper avere tutte le professionalità richieste alla creazione e allo sviluppo di un’impresa (e la scelta di un team vincente serve proprio a supplire a queste mancanze), è anche vero che uno startupper non può limitarsi a “fare la sua parte” di lavoro (cioè a utilizzare quella professionalità di cui dispone) ma deve avere la funzione più importante, quella di supervisore complessivo del progetto.

Lo startupper deve essere aggiornato quotidianamente sull’evoluzione del progetto, in tutti i suoi aspetti, per poter intervenire ogni qualvolta si renda necessario, con aggiustamenti e correzioni di rotta.

Inoltre deve gestire le dinamiche del team, in modo che funzioni al meglio, e mantenere stretti rapporti con eventuali soci ma soprattutto con i finanziatori della startup.

Convincere gli investitori è uno dei compiti principali di uno startupper, soprattutto nelle prime fasi della vita di una società, ed è necessario impegnarsi a fondo, riuscendo anche a trasmettere tutto l’entusiasmo e la passione che si ha per il proprio progetto.

Perché passione ed entusiasmo sono il motore necessario per poter andare avanti nell’impegno quotidiano che una startup richiede: spesso, almeno all’inizio dell’attività, è necessario anche proseguire il proprio lavoro dipendente, in modo da proteggersi da un eventuale fallimento, senza trascurare tutti gli impegni familiari e personali che sono comuni nella vita di tutte le persone.

Decisamente una realtà molto diversa da quella dell’immaginario collettivo: quello dello startupper è sicuramente un lavoro che può dare grandi soddisfazioni, ma solo a prezzo di grandi sacrifici.

# Lo startupper e la paura

La paura è un sentimento comune e diffuso, in una molteplicità di situazioni: e la paura di fallire ha sicuramente colpito tutti gli startupper.

Finché una startup rimane nel mondo delle idee, difficilmente si percepisce la paura, ma quando si comincia a mettere in atto un progetto completo, allora la paura di non farcela sicuramente si presenta.

E allo stesso modo è ovvio che la paura si faccia sentire sempre di più quando si commettono degli errori (e spesso è inevitabile, soprattutto nelle prime fasi di un progetto) oppure si ricevono delle critiche negative.

La paura è importante, ma normalmente viene utilizzata come strumento di protezione: nel momento in cui abbiamo paura di qualcosa, sentiamo che quel qualcosa è pericoloso per noi e quindi evitiamo di farlo.

Essere uno startupper vuol dire rovesciare completamente questa prospettiva: la paura non deve essere più un freno all’attività, al desiderio di crescere e di cambiare, ma deve essere trasformata nel motore del cambiamento stesso.

Commettere degli sbagli è normale e in certi limiti può essere considerato accettabile (salvo ovviamente che questi sbagli vengano ripetuti, nel qual caso è necessario fermarsi e capire dove si trova il problema): ma da uno sbaglio non deve derivare la paura di sbagliare ancora, quanto la capacità di imparare.

Imparare dai propri errori è una caratteristica necessaria per uno startupper di successo, che non viene frenato dalla paura ma spinto a migliorare le sue prestazioni.

Anche le critiche negative generano paura, in particolare quella di non essere effettivamente adatti a creare una startup e avere successo: ma le critiche vanno accettate (sia quelle costruttive che quelle che non lo sono) ed è necessario farne tesoro.

Soprattutto le critiche costruttive possono essere utili a uno startupper: invece di avere paura perché non si è raggiunto un determinato risultato oppure si è seguito un percorso sbagliato, fare tesoro delle critiche permette di correggere il proprio comportamento e quindi di migliorare e di raggiungere gli obbiettivi che ci si è posti.

Prendersela con un interlocutore che ci critica è una reazione dettata proprio dalla paura, come la tendenza a dare la colpa ad altri per i propri errori.

Ma invece di cadere in questo meccanismo dettato dalla paura è importante fermarsi a riflettere sulle critiche, comprendendone le loro ragioni: solo applicando questa tecnica diventa possibile superare la paura e continuare a migliorare nella realizzazione del proprio progetto di startup.

Essere in grado di ribaltare la paura e di trasformarla in una spinta al miglioramento e a un maggior impegno è la mossa vincente che uno startupper ha a disposizione per arrivare al successo: l’importante non è quante volte si cade durante l’ideale percorso che porta al successo, ma quante volte ci si riesce a rialzare e ripartire.

In un certo senso la paura non è più un nemico, come potrebbe essere vista comunemente, ma diventa un alleato prezioso per uno startupper: liberarsene è impossibile, perché è insita nella natura umana, quindi diventa importante imparare a convivere con essa e sfruttarla a proprio vantaggio.

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    4 replies to "Il successo di una startup è fatto di duro lavoro e confronto con la paura"

    • Federica

      Quanta verità in questo articolo…!!! Sono una startupper che ha creato circa un anno fa insieme ad un socio, il nostro sito: http://www.wi-mu.com e mi sono ritrovata in tutto quello che hai scritto. La paura costante che in modo magico, tira fuori una grinta ed una tenacia fuori dal comune, la totale mancanza di vacanze (almeno quelle mentali, impossibile: con la testa sono sempre rivolta alla mia startup).
      Ma la soddisfazione che ti può arrivare dal poter dedicare il tuo tempo e le tue energie per far nascere e crescere qualcosa di tuo, è inestimabile!

    • daniele

      Complimenti per l’articolo. Oggi tutti pensano che creare una startup vuol dire aprire un sito internet ma non è così.

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