Delega ciò che non sai fare, ma anche quello che sai fare.

Vale per le startup, ma anche per qualsivoglia azienda: una sola persona non può fare tutto!

Eppure il tipico errore di chi, preso in tutto e per tutto dal proprio sogno, dal proprio ideale di startup, non riesce a delegare niente, o quasi niente, è molto più comune di quanto non si creda.

# Ecco l’accentratore

Questa persona ama oltre ogni limite la sua creatura, o quella che sarà la sua creatura, eppure ne sta già decretando la fine. È un giudizio troppo crudele? Forse, ma andiamo per gradi.

# Ecco il leader.

In maniera provocatoria, il titolo di questo breve paragrafo richiama il precedente, solo che, volutamente, mette in contrasto 2 figure: un leader, anzi un buon leader, ad un semplice accentratore. Non si tratta di categorie assolute. Chi fa impresa, per definizione, è in ogni caso un imprenditore. Ed un imprenditore può comportarsi come un accentratore, con tutte le conseguenze del caso, oppure essere un buon leader.

# Le startup sono formate da persone

Possiamo azzardare una affermazione: l’accentratore è interessato al successo della propria startup quanto il leader (anzi, forse di più!).

Ma forse egli dimentica una cosa fondamentale, e cioè che le startup sono composte di persone.
Egli vede il punto di partenza, che è il sogno di creare una grande startup, ed il punto di arrivo, cioè il successo dell’azienda stessa, ma, fra il punto di partenza e quello di arrivo, il suo motto resta sempre: “faccio tutto io e non chiedo niente a nessuno“.

Ecco: egli non vede le persone, non si preoccupa di intrecciare rapporti, e in un certo senso, “spersonalizza” dipendenti e collaboratori.
Esattamente il contrario dovrebbe fare un imprenditore, quando si comporta da vero leader.

# Cosa c’è di sbagliato nel voler fare tutto da soli?

Rovesciamo per un momento il discorso: perché è così sbagliato voler fare tutto da soli?

Partiamo da un presupposto: non è sbagliato. Però precisiamo meglio: non sarebbe sbagliato, se solo fosse possibile.

I motivi per cui è impossibile fare tutto da soli sono vari, ma possono essere ricondotti principalmente a 2: motivi di competenza e motivi di tempo.

Mc Donald non sa cuocere le patatine fritte

Non esiste al mondo un leader, anche tra i migliori manager di fama internazionale, che sappia fare tutto. È umano.
Casomai, l’abilità del leader consisterà proprio nella scelta dei propri collaboratori. Non solo, una volta scelti, dovrà essere abile a motivarli perché rendano al meglio nei loro compiti.

Ecco un esempio, magari un po’ estremo, di quanto appena affermato. È molto probabile che al signor Mc Donald non interessi cuocere i suoi panini (una leggenda dice che non sappia farlo, oppure che non ne abbia mai fatto uno) o le sue patatine fritte. È un manager, un imprenditore, si occupa di altro e, per nostra fortuna, non risulta che qualcuno abbia mai mangiato un cheeseburger preparato direttamente da lui.

– Un leader si occupa di “altro”.

Come appena detto nel simpatico esempio del signore degli hamburger, un leader si occupa di “altro”. Ci stiamo avvicinando al cuore del problema. Il leader ha il dovere di “delegare” in quanto non ha le competenze per far tutto.

Inoltre, non ne avrebbe nemmeno il tempo: in fondo, anche le giornate di un buon leader sono formate da 24 ore come quelle di tutti!

E quando si dice che un leader si occupa di “altro” si vuole significare che si occupa di “tanto altro”. Pensiamo a come, occupandosi di problemi marginali, il leader possa facilmente perdere di vista i grandi obiettivi che si era prefissato.

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Se vuoi approfondire le tematiche sul concetto di leader nelle startup, ti consiglio:
I compiti della leadership nella gestione del personale dell’impresa. Il punto di vista di John Kotter

# La delega come lavoro di squadra

Alla base di tutte le startup, c’è l’abitudine a lavorare in team.

Fare gioco di squadra oggi è profittevole per qualsiasi startup ed è richiesto a tutti: dal titolare (o dai titolari) fino ai collaboratori, dai manager fino ai semplici dipendenti.

Dirigere questo gioco di squadra è uno dei compiti più delicati di un leader, il quale dovrà preventivamente ideare un sistema perché ogni singola delega sia affidata al collaboratore più adatto, e per poter introdurre tempestivamente dei correttivi in corsa nel caso qualcuno si riveli non in grado di svolgere correttamente il compito affidatogli.

# La delega profittevole.

Nel gioco di squadra, si parla spesso di delega profittevole. Questo vuol dire che la delega, di per sé, gratifica il delegato, rendendolo partecipe sia della responsabilità che comporta il compito che gli viene affidato, sia del risultato che consegue al corretto svolgimento del lavoro.

Naturalmente il delegato dovrà aver ben compreso modi, tempi di esecuzione e scadenze del compito che andrà ad eseguire.

Il conferimento di una delega deve essere fatta però, in modo da non caricare il delegato di eccessive pressioni su eventuali controlli da subire una volta eseguito il compito (il delegato deve sentirsi “fiduciato” dal leader), e deve indicare in maniera lineare le direttive da seguire, evitando così di rendere inutilmente complicato il lavoro del collaboratore prescelto.

# La delega come costruzione del gruppo di lavoro

La delega risponde ad esigenze organizzative dell’attività, ma è anche un valido elemento che può essere usato come banco di prova della solidità dei rapporti interni all’azienda.

Possiamo senz’altro dire, che la delega è uno strumento chiave nella motivazione e responsabilizzazione dei dipendenti, con essa si portano avanti gli obiettivi (economici, finanziari, e così via) della startup, ma allo stesso momento si costruisce o si rafforza la squadra. Si hanno delle conferme in merito alla validità del team, oppure si affrontano insieme eventuali criticità.

# Ricapitoliamo: caro imprenditore, non puoi fare tutto da solo!

Ribadiamo e riassumiamo brevemente perché, se davvero vuoi creare una tua startup di successo, non puoi fare tutto da solo:

  • non hai le competenze per far tutto
  • devi occuparti di “altro”, per cui non dovresti dedicare ad altri problemi o compiti (che, pur importanti, possono essere “delegati”) né il tempo, né l’attenzione che, invece, andrebbero indirizzati allo scopo generale del perseguimento degli obiettivi generali della tua startup

A maggior ragione lo startupper non può fare da solo

Intendiamoci bene: non si tratta di circondarsi di una infinità di collaboratori, anche e soprattutto per esigenze economiche.

Per es., per la tenuta della contabilità (al di là degli obblighi di legge), si dà per scontato il ricorso ad un dottore commercialista.

Perché dovrebbe essere diverso riguardo alla pianificazione di una campagna pubblicitaria?

Come il neo imprenditore non avrà le competenze relative alla contabilità, allo stesso modo, quasi sicuramente, non le avrà di marketing.

Eppure, capita non di rado di vedere lo startupper scrivere lo slogan, il testo del volantino, andare in tipografia, se non, addirittura, andare di persona a distribuire i manifestini.

Naturalmente, si tratta soltanto di un esempio.

Ma è un esempio calzante, che ci indica una abitudine pericolosa: a volte si evita di delegare un compito (in questo caso non ad un collaboratore, ma ad un professionista), non solo per risparmiare, cioè per un fatto economico, e non solo per una attitudine personale dell’imprenditore (magari abituato a ritenere fatto bene esclusivamente un lavoro fatto personalmente), ma anche per un fatto culturale.

Inoltre, il neo startupper in questo caso sta decidendo, senza aver approfondito abbastanza, la difficile questione di cosa sia giusto delegare e cosa no.

# L’esternalizzazione come snellimento della gestione ed abbattimento dei costi

L’imprenditore, o il neo startupper, dovrà ben ponderare cosa delegare, o non delegare, ad altri.

Inoltre, maggiormente delicata è la questione quando lo specifico compito viene “delegato” al di fuori dell’azienda: cioè, in pratica, quando una funzione viene “esternalizzata”.

Tenendo presente che l’esternalizzazione può avvenire in tanti modi (dalle semplici collaborazioni ai contratti di outsourcing, fino alle cessioni di rami d’azienda), ancor prima di dire cosa possa essere esternalizzato, bisogna comprendere bene il perché si esternalizza.

I motivi principali sono 2:

  • rendere più snella la gestione aziendale (si parla difatti di learn, cioè leggera, organization)
  • ottimizzare ed abbattere i costi.

# Quali sono le funzioni che possono esternalizzate.

E quando si parla di costi, quali di essi, nella situazione attuale, preoccupano maggiormente l’imprenditore?

La risposta è semplice: i costi del lavoro.

Per questo motivo, le esternalizzazioni riguardano spesso la ricerca del personale e dei collaboratori, oltre che la gestione degli stessi.

Parlando in via generale, invece, la scelta delle funzioni da esternalizzare viene fatta, solitamente, in base ad un criterio che si basa su una divisione concettuale delle attività di una qualsiasi startup: ciò che fa parte direttamente del cosiddetto “core business” e cosa non ne fa parte, ossia, per semplificare, cosa viene considerato come facente parte delle attività primarie e cosa delle attività collaterali.

La creazione del “prodotto” o del “servizio” che rappresentano il motivo per cui l’azienda stessa è nata (e per cui esiste sul mercato) è il “core business” e, solitamente, non può essere esternalizzato. Le cosiddette attività di supporto, invece, possono essere invece opportunamente delegate o esternalizzate.

Altre sono le attività che possono sicuramente essere esternalizzate: la contabilità, le campagne pubblicitarie, la risoluzione di controversie legali, e così via.

# Startup: i primi compiti dello startupper.

Lo startupper, inizialmente, dovrà occuparsi di alcune “sciocchezzuole” preliminari quali:

  • definire i clienti dei propri prodotti
  • definire il prodotto da vendere a questi clienti

Volutamente, queste 2 operazioni sono state messe in quest’ordine proprio per porre l’accento su un fatto: è opinione comune che un imprenditore debba avere innanzitutto in mente un prodotto (magari, per proprie attitudini personali, vuole vendere, ad esempio, prodotti per l’igiene della casa) e che solo in seguito si preoccupi di come arrivare ai clienti.

Non sempre è così, anzi, forse sarebbe augurabile che non fosse mai così: il vero imprenditore non dovrebbe mai “innamorarsi” del prodotto a priori, indipendentemente dal fatto che qualcuno sia pronto a richiederlo o meno. Magari una ricerca di mercato, in una certa zona, fornirà una indicazione più precisa su dove ci sono più clienti potenziali e di cosa essi hanno bisogno.

L’imprenditore, se vuole già comportarsi da vero leader, può porre le basi per uno studio del target dei clienti e della ricerca di mercato, poi però dovrà necessariamente delegare ad un collaboratore, oppure ad un professionista, il compito di fare una indagine approfondita.

Lo schema indicato vale per tutte le fasi della startup. Prendere decisioni sul processo produttivo, distributivo, richiede una capacità generica di inquadrare l’insieme delle operazioni da compiere, compresa quella di definire nel dettaglio i compiti da delegare o da esternalizzare.

# Il compito più delicato: il reclutamento del personale e dei collaboratori

Sicuramente uno dei compiti più delicati di uno startupper (e, in generale, di un imprenditore) è il reclutamento dei collaboratori giusti. Questo è uno dei compiti per eseguire i quali è meglio che l’imprenditore non dica mai:”Faccio tutto io e non chiedo niente a nessuno”.

Partendo dal presupposto di ritenere la selezione del personale con il colloquio in sede obsoleta, in quanto richiede una grande quantità di tempo, con conseguenti alti costi e con l’aggravante di una resa limitata in termini di numero di candidati, si fa notare che l’avvento di internet ha sicuramente rivoluzionato questo tipo di processi di selezione.

Il cosiddetto e-recruitment permette, grazie ad apposite piattaforme on line, di avere a disposizione una quantità enorme di curriculum (anche se il numero elevatissimo di questi è, nello stesso momento, fattore positivo e fattore negativo) fra i quali l’imprenditore può trovare le figure giuste o, almeno, fare una prima scrematura, e senza la limitazione geografica imposta da una selezione tradizionale.

Evoluzione di questo tipo di selezione è il cosiddetto “social recruitment” che utilizza i social network più conosciuti per il reclutamento del personale.

La ricerca dei collaboratori, quindi, può avvenire seguendo le più diverse strategie. Oltre ai social network (fra i più conosciuti: Facebook, Twitter, Linkedin, e così via) ci si può rivolgere a siti e motori di ricerca del personale, a volte utili di per sé anche solo come banche dati, altre volte utilissimi in quanto risultano essere fornitori di veri e propri servizi di ricerca, consulenza e formazione.

Solo a titolo di esempio, e chiaramente non esaustivo, si possono segnalare alcuni di questi siti, se non altro allo scopo di evidenziarne le specificità del servizio offerto e le diversità di utilizzo da parte dell’azienda richiedente. Si vedano, perciò, ad esempio:

  • www.profiliecarriere.it (un vero e proprio network delle risorse umane, dove è possibile avviare una ricerca anche di personale altamente specializzato);
  • www.infojobs.it (molto popolare e conosciuto e per questo una miniera praticamente inesauribile di curriculum);
  • www.easytalent.it (che offre un vero e proprio servizio di consulenza e ricerca dedicato alle aziende).

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E’ giusto oppure no, che lo startupper affermi “Faccio tutto io e non chiedo niente a nessuno“?

In ogni caso, però è corretto avvertire quell’imprenditore che, in questo modo, la sua startup non andrà, letteralmente, da nessuna parte.
Ma tu cosa ne pensi?

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    1 Response to "Faccio tutto io e non chiedo niente a nessuno"

    • Lauro

      Bell’ articolo, analizza le basi della startup dal punto di vista di vista di chi la crea.
      Purtuttavia manca qualcosa… Quando Mark Zuckerberg era uno startupper chiese aiuto alla sua cerchia di amici, dando in cambio non soldi ( che non aveva ) bensì stock option: qualche tempo dopo, non molto come sappiamo, questi amici si ritrovarono con qualche milione di dollari sul conto… Altro esempio, Harv Ecker racconta in un suo libro che una volta stava facendo un colloquio di lavoro a una ragazza, per un posto di direttore del marketing o qualcosa di simile; bene, la ragazza garanti’ maggiori entrate grazie a suo lavoro per almeno 20 mila dollari al mese, chiedendo uno stipendio di 5000 dollari. Bene , Allora Harv le dic:”visto che è così sicura le propongo di fare a metà con con l’ incremento del volume d’ affari”, che voleva dire il doppio di quanto da lei chiesto. Inutile dire che lei rifiutò, e che mentre Harv continua la sua fruttuosa attività, la ragazza non ha migliorato granché il suo ranking sociale… Riguardo la leadership, citò un caso conosciuto da tutti: Steve Jobs. Creò Apple a 17 anni, e non avendo competenze in computing delegò tutta quella parte a Wozniack, ma non pagandogli uno stipendio( neanche lui aveva soldi all’ epoca ): semplicemente fecero una società.E la storia gli ha dato ragione … Questo per dire che spessissimo, nella quasi totalità dei casi anzi, in Italia i lavoratori vogliono lo stipendio fisso credendo così di essere esonerati da qualsiasi responsabilità; salvo poi lamentarsi ( non tutti per carità ) della pochezza della stesso, o nel peggiore dei casi invidiare l’ imprenditore ( che prima era startupper…) perché gira in Porsche …
      Quel che manca in Italia, è il coraggio di uscire dalla comfort zone, ecco perché non c’è la faremo…forse 🙂

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